Il fatto che per questi ultimi fossero previste cinque posizioni di attacco sopra e quattro sotto, sino a raggiungere ben 20 differenti opzioni alternative, venne da taluni ritenuto un particolare pregio, ma col senno di poi dimostra solo una scarsa conoscenza delle nuove tendenze.
Dopo un paio di anni di collaudi sul campo, infatti, fu più facile stabilire preventivamente l’inclinazione ottimale e sparirono le curiose rosette che ornavano i telai.
Smontando la ruota posteriore il freno e la corona restavano solidali al forcellone.
Mozzi conici con freno anteriore a tamburo da 140 mm e posteriore sempre a tamburo da 160 mm.
La grande novità era però rappresentata dal sofisticato motore Rotax, a disco rotante, un bel monocilindrico di 123,4 cc (54x54 mm), con una rapporto di compressione 14:1 ed una potenza di 23 CV a 9.000 giri.
Un bel carburatore Bing da 32 mm, frizione multidisco in bagno d’olio, cambio a sei rapporti con innesti frontali e carter in magnesio completavano l’opera.
I Frigerio furono i primi ad adottare il motore Rotax e questa scelta garantì loro un certo vantaggio sulla concorrenza, almeno all’esordio. Poi quando la Rotax fornì i propri motori alla quasi totalità delle case costruttrici anche questo piccolo vantaggio venne meno.

Effettivamente si trattava di belle moto, in grado di competere con la restante produzione di serie presente sul mercato, ma non sufficientemente performanti per confrontarsi in campo internazionale con il meglio della produzione mondiale.
Sul versante sportivo infatti non emersero mai veramente e le ritroveremo sempre ben piazzate, ma lontane dal podio.
Alla Valli Bergamasche, il migliore fu Sergio Belussi, 6° nella classe 175, seguito da Sergio Pesenti e Carlo Paganessi, rispettivamente 7° e 8° nella classe 250.
Anche alla Sei Giorni il migliore fu Sergio Belussi, 2° nella classe 175.
Malgrado il prezzo elevato, nel primo anno di attività ottennero un discreto successo commerciale e ne vennero realizzati circa 300 esemplari.
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