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Laverda (1947 – 1980)
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Su questo modello fece anche capolino un bel serbatoio tondeggiante in vetroresina; un optional che fu poi abbandonato perché la Laverda restò fedele al suo classico e inconfondibile serbatoio squadrato in lamiera con le ginocchiere in gomma.
Il buon andamento della stagione spronò la dirigenza ad aumentare l’impegno e l’anno successivo vengono ingaggiati dei piloti di grande livello cui viene affidata l’ennesima evoluzione del “Regolarità Corsa – 2° Serie”.
Questa ulteriore evoluzione aveva il suo punto di forza in un nuovo cambio a cinque rapporti, un motore ulteriormente potenziato, in grado di erogare 12 hp, ed un telaio irrobustito in più punti ed in particolare attorno al motore e nel posteriore.
La moto è bella, grintosa e compatta; il motore allestito specificamente per questo tipo di competizioni, pur mantenendo la caratteristica architettura orizzontale, mostra forme differenti dalle solite, impreziosite da nuovi carter fusi in terra.

Esteticamente la moto fu ulteriormente rivisitata e migliorata:
il tubo di scarico esce alto e ben protetto all’interno del telaio, gli ammortizzatori posteriori hanno un attacco diverso che ne riduce anche l’inclinazione, la moto viene ulteriormente alleggerita, a cominciare dal faro anteriore, più piccolo e funzionale.
Nel 1968, dopo un’intera stagione passata tutta all’attacco la Laverda si presenta alla Sei Giorni di san Pellegrino con una squadra di grande rilievo, ottenendo un risultato di tutto rispetto:
delle quattro moto iscritte alla ISDT, Luigi Gorini conquistò la medaglia d’oro e fu uno dei dieci italiani arrivati a zero penalità, seguito da Edoardo Dossena (2 penalità, medaglia d’argento), Paolo Cozzi (22 penalità, medaglia di bronzo), mentre Fausto Oldrati fu costretto al ritiro il quinto giorno.
Il risultato era positivo, ma non a tal punto di ipotizzare un futuro roseo.
Il perfezionamento di questo modello, che completa il panorama delle moto italiane a quattro tempi (Gilera, Guzzi, Morini ed MV), ultimò il suo ciclo di sviluppo proprio quando i quattro tempi dimostravano ormai di non poter più stare al passo dei più veloci ed affidabili due tempi.

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