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1968 – I primi anni di vita della Müller furono i più esaltanti ed i più fecondi, scanditi da rapidi progressi e significative affermazioni, anche grazie alla grande cura di ogni dettaglio e molta attenzione all’estetica, sempre più grintosa e raffinata, come le doppie pedane, la griglia proteggi faro, il porta gonfleur, o le comode leve fissate ai perni dei mozzi, per un rapido montaggio e smontaggio delle ruote.
Tutti i punti critici furono adeguatamente rinforzati e rifiniti con accurati fori di alleggerimento.
Per tutte le motorizzazioni si ottenne anche un incremento delle prestazioni, come nel 100cc, che salì a 11 cv a 9000 g/m.
Lo sport delle competizioni in fuoristrada aveva ormai assunto i suoi connotati più netti ed anche le moto impegnate in questo tipo di gare avevano ormai definitivamente abbandonato l’originaria derivazione stradale, per assumere una propria identità esclusiva, riaffermata con forza da tutta una serie di modifiche che caratterizzavano a priori il mezzo, come espressamente adatto a questa nuova disciplina agonistica.
Va detto, a onor del vero, che questo tipo di interventi, non era in grado di migliorare il rendimento effettivo della moto, condizionato quasi esclusivamente dall’abbinamento di un buon motore con un ottimo pilota, e non da tanti fronzoli accessori, ma dava prova di una ricerca e di un’attenzione tipica solo delle moto da competizione, un genere sempre più richiesto da una clientela sempre più vasta ed esigente.
Sull’onda dei tanti successi, specie nel Cross junior, il marchio Müller aumentò il suo appeal presso le generazioni più giovani, ma il gap nei confronti dei motori Sachs era insuperabile.
Se nel Trofeo FMI, tradizionalmente riservato ai piloti esordienti, le Müller si misero in luce, conquistando sia la classe 50 che la 100, nel Campionato Italiano di Regolarità, ogni speranza di successo si infranse contro lo strapotere delle moto tedesche.
Per quanti sforzi venissero fatti per incrementare le proprie chance, alle belle moto cremonesi mancava la concreta possibilità di incrinare l’indiscusso primato dei motori d’oltralpe.

Alla fine della stagione, Zündapp ed Hercules occuparono i primi due posti e alla Müller che si classificò al terzo posto restò la consolazione di essere stata la prima delle moto italiane.
A Bruno Müller non restò che prendere atto della superiorità dei motori tedeschi, e nella speranza di superare i limiti dei motori italiani, nacque, proprio nel 1968, il primo Müller Zündapp, anche grazie ad una serie di circostanze fortunate.
Il bresciano Bruno Birbes, classe 1949, che da tempo frequentava l’officina di Robecco d’Oglio e che già correva con un Müller Regolarità, Franco Morini a quattro marce, color giallo e nero, entrò in contatto con Otto Koler, che nel frattempo, a pochi chilometri da Brescia, sul Lago di Garda, stava proprio costruendo la sua prima CMK.
Birbes acquistò da Koler un motore Zündapp 5 marce, con il cilindro fuso in terra, riportato al nikasil, da 7 cv, che arrivava direttamente dal reparto corse di Monaco, presso il quale Otto, vantava più di una buona entratura.
Il giorno stesso si recò presso l’officina di Bruno Müller, che nel giro di pochi giorni, lo sistemò sul telaio, adattando telaio e ciclistica al nuovo e più potente propulsore.
La moto non necessitava di tanti collaudi e scese subito in gara.
In sella alla sua Müller Zündapp, Birbes si presentò infatti, alla Sei Giorni di san Pellegrino.
Con il numero di partenza 332, abbinato alla CMK n. 331 di Pietro Polini, riuscì a portare a buon fine la prova, pur con molte difficoltà; alla fine della sesto giorno si classificò 14° di classe, alle spalle della CMK di Piero Polini, le uniche due moto italiane della classe cadetta, che entrarono in classifica.



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