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1907 – L’affinità della famiglia Ancillotti con la meccanica ha radici lontane.
Il capostipite fu Ernesto Ancillotti, che agli albori del secolo, nel 1907, aprì un’officina a Firenze.

1938 – Il figlio Gualtiero, nel 1938, compì un ulteriore passo avanti e si specializzò nella manutenzione ed elaborazione delle già famose motociclette americane Harley Davidson.
Nel 1949 brevettò anche un ingegnoso modello di sospensione elastica posteriore, per addolcire e migliorare le rigide motociclette americane.
Sull’onda del boom economico che caratterizzò i primi decenni del dopoguerra, il nome Ancillotti divenne rapidamente famoso per le formidabili elaborazioni delle Lambrette, che, nelle lunghe e calde notti estive della Versilia, si affrontavano sui lungomare più esclusivi, sulla scia di una moda importata dall’america e resa famosa da James Dean e Marlon Brando.
Negli anni 60 entrarono in ditta anche i nipoti del fondatore, Alberto e Piero, accomunati dalla grande passione per il mondo dei motori.

1967 – In quel periodo, furoreggiava in Italia una nuova disciplina sportiva, la Motoregolarità.
Era impensabile che un’azienda giovane e dinamica non si dedicasse ad una specialità così affascinante e, proprio grazie all’interessamento di Alberto, nacque, a cavallo tra il 1966 ed il 1967, la prima Ancillotti da fuoristrada, utilizzando come base, il telaio del Beta Camoscio 50 cc, e relativo blocco motore.
La scelta non fu casuale, dal momento che la Beta aveva i suoi impianti di produzione vicinissimi e, per le modifiche più significative, era possibile godere della fattiva collaborazione dei tecnici e delle tecnologie della Beta stessa.
Il telaio in tubi d’acciaio, era già di concezione moderna, caratterizzato da un solido tubolare centrale, ed una bella doppia culla, che, dalla pipa di sterzo raggiungeva gli attacchi degli ammortizzatori posteriori, per poi riunirsi al monotrave superiore, con una morbida curva finale, che, per parecchi anni, costituì una caratteristica esclusiva dei telai Beta e Ancillotti.
Ad irrobustire il centro della moto, ci pensava un altro grosso montante cilindrico verticale, posto proprio dietro il motore.
L’intervento di trasformazione fu radicale ed interessò l’intera ciclistica, con serbatoio in vetroresina, filanti parafanghi in acciaio lucidato, marmitta ad espansione, pedane pieghevoli, carter paracatena in lamiera, forcelle ed ammortizzatori Ceriani, ma anche il motore, elaborato e potenziato con l’adozione di una componentistica realizzata grazie al supporto della Beta, ma esclusiva Ancillotti, come i semicarter centrali fusi in terra, adatti ad ospitare un albero motore più piccolo e leggero, il cilindro in ghisa e la testa a ventaglio in lega leggera.
Il motore, due tempi a quattro marce, era caratterizzato, all’esterno, dal gruppo di scoppio dipinto in nero particolarmente aggressivo, e, all’interno, da un un alesaggio di 38,8 mm x 42 mm di corsa, pari a 49,634 c.c , il pistone piatto e la distribuzione a luci contrapposte.
Accensione a volano magnete 18W – 6V, con bobina A.T. esterna.
Con il carburatore Dell’Orto UB 20 S ed un rapporto di compressione da 10,8:1, testato al banco, era in grado di erogare quasi 7 cavalli a 9.000 giri/min.
Alla ruota i cavalli erano un po’ meno, ma sempre tanti rispetto alla concorrenza.
L’aspirazione era protetta da un filtro Dell’Orto F20.


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