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1964 – Il 1964 fu un anno molto importante per la Jawa, sia per la presentazione di un rivoluzionario modello, caratterizzato da un innovativo telaio a “banana”, sia per l’arrivo in squadra del giovanissimo astro nascente dell’enduro mondiale: Kvetoslav Masita, che, dopo essersi messo in luce nelle prove nazionali di cross con la Jawa 50cc, a soli 17 anni, si arruolò nell’esercito ed entrò a far parte del Dukla di Praga.
Negli anni ’60 la “regolarità” visse un periodo di rapida evoluzione, poichè i percorsi diventarono sempre più difficili e selettivi.
La Kyvachka compiva ormai 10 anni ed era legittimo ritenere il suo progetto superato.
Una moto semplicemente derivata da un modello stradale non era più sufficiente a garantire un buon risultato.
Le moto vincenti negli anni ’60 si erano definitivamente trasformate in vere e proprie “moto da competizione in fuoristrada”, ed anche in casa Jawa, pur con un leggero ritardo, venne avvertito il cambiamento.
I tecnici del reparto corse cominciarono a dedicarsi a nuovi modelli specificamente studiati per l’uso agonistico ed in grado di affrontare le nuove sfide.
La nuova moto da fuoristrada derivò dal prototipo che, già nel 1963, iniziò i suoi collaudi sui campi da cross, nella classe 250.
Il telaio, opera del tecnico e pilota Frantisek Bouska, era un telaio a doppia culla che, anziché “contenere” il motore da sotto, lo tratteneva dall’alto, per mezzo di due  tubi di sezione rettangolare, che, partendo dal cannotto di sterzo si congiungevano all’attacco superiore degli ammortizzatori disegnando un arco che richiamava appunto la forma della banana.

L’effetto ottico era estremamente caratterizzante, l’effetto pratico non diede i risultati sperati, ma per diversi anni rappresentò una possibile soluzione, non priva di vantaggi, come il baricentro molto basso o l’estrema facilità con cui si poteva compiere qualunque operazione di manutenzione sul motore.
Il telaio non fu l’unica novità, ma la base di una nuova moto in cui tutti i particolari erano realizzati con un preciso intento agonistico, a cominciare dal motore.
Abbandonati i “vecchi” motori stradali, insieme al telaio, fu progettato anche un nuovo propulsore, la cui caratteristica peculiare era rappresentata dall’avere un unico carter centrale in elektron, all’interno del quale venivano assemblati albero motore (infilato sul semicarter sinistro), la biella (attraverso un orifizio del carter centrale), cambio ed il relativo meccanismo di selezione (sul semicarter destro) e frizione; il tutto racchiuso da due carter laterali di copertura.
Grazie a questo accorgimento, era possibile sostituire qualunque componente interna, senza dover staccare il motore dal telaio.


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